Recensione Libro: La notte poco prima della foresta

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Un dialogo ad una sola voce, un’invettiva urlata sotto la pioggia, una confessione a squarciagola rincorrendo un compagno. Un monologo in apnea, disperato che, sebbene precedente al film di venticinque anni, ricorda i quasi quattro minuti del ‘Fuck everyone’ pronunciato da Edward Norton nella ‘25th hour’ di Spike Lee. Si respira la stessa aria sporca e satura di odori e di umori umani, di melting pot, di delusione, di insoddisfazione, di frenesia, di umidità da sottosuolo, di metropoli brulicanti, dove sono tutti stranieri.


La strada buia e uggiosa – che richiama alla memoria le atmosfere post apocalittiche della strada mccarthiana - è territorio di zombie, uomini né vivi e né morti, uomini soli.

Lì, sui marciapiedi umidi di pioggia, sangue, sperma e alcool, un viandante è alla ricerca di un’identità per non perdere la propria umanità, di un posto in cui fermarsi non per riposare ma per urlare, per raccontare la sua storia e sentirla vera e viva, per dire la propria sotto un cielo tutto intero e senza timore. Per vivere, per respirare, fosse anche un’ultima volta, affinché ne sia valsa la pena, affinché il dolore non sia stato vano. Per dare un senso a questo sopravvivere con i pugni e i denti stretti ai margini, sui confini frastagliati e vertiginosi delle cose.

È una corsa, la sua, senza sosta, senza fiato, sotto una cascata di parole scroscianti come pioggia. Tutto prende forma e spazio vorticosamente in un climax inarrestabile, anche oltre l’ultima riga di una dichiarazione delirante e rivelatrice di un’insofferenza troppo a lungo taciuta.

‘La notte poco prima della foresta’ è un’esplosione i cui detriti sono destinati a raggiungere distanze di tempo e di spazio inimmaginabili e ancora in là a venire, in occasioni imprevedibili e nei momenti più disparati. Poco meno di sessanta pagine di teatro e letteratura che hanno ancora tanto da dire, oggi più di ieri e sicuramente meno di domani. Una scoperta continua, ad ogni riga e ad ogni pagina, che non può lasciare indifferenti.

ENG

A one-voice dialogue, a shouted invective in the rain, a loud confession chasing a comrade. A monologue in apnea, desperate which, although preceding the twenty-five year film, recalls the almost four minutes of 'Fuck everyone' delivered by Edward Norton in Spike Lee's '25th hour'. You breathe the same dirty air saturated with smells and human moods, with melting pots, disappointments, dissatisfaction, frenzy, humidity from the subsoil, of teeming metropolises, where everyone is foreign.


The dark and gloomy road - which recalls the post apocalyptic atmosphere of the McCarthy road - is the territory of zombies, men neither living nor dead, lonely men.

There, on the sidewalks wet with rain, blood, sperm and alcohol, a traveler is looking for an identity so as not to lose his humanity, a place to stop not to rest but to scream, to tell his story and hear it. true and alive, to have your say under a whole sky without fear. To live, to breathe, even if it were one last time, so that it was worth it, so that the pain was not in vain. To make sense of this, surviving with fists and teeth clenched at the edges, on the jagged and dizzying borders of things.

His is a race, relentlessly, out of breath, under a cascade of words pouring like rain. Everything takes shape and space whirlwind in an unstoppable climax, even beyond the last line of a delusional and revealing statement of intolerance that has been silenced for too long.

'The night just before the forest' is an explosion whose debris is destined to reach unimaginable distances of time and space and still to come, on unpredictable occasions and in the most disparate moments. A little less than sixty pages of theater and literature that still have much to say, today more than yesterday and certainly less than tomorrow. A continuous discovery, on every line and on every page, which cannot leave you indifferent.

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