D Saggi .3

ATHANASIA

“Domani sarai la più bella di tutte, te lo giuro” disse mia madre con le lacrime che le rigavano il viso.
È una donna molto bella e non mi piaceva vederla piangere, anche se, sinceramente, non era la prima volta. Accanto a lei c’erano papà e Luca, mio fratello. Loro due non dissero nulla. Si limitarono a fissarmi con quei loro occhi blu. Beh, non che mi stupisca: Mio papà e mio fratello non sono mai stati di molte parole.
Avevamo passato molte cene in silenzio, ognuno con lo sguardo rivolto al proprio piatto, finché mia mamma, quel silenzio, non lo rompeva, con il suo chiacchiericcio. Ci raccontava tutto quello che faceva durante la giornata: la spesa, il parrucchiere e tutto quello che succedeva in quartiere. Mia madre sapeva sempre quello che facevano tutti.
Per esempio, quando la signora Bounderby aveva divorziato a causa del tradimento di suo marito con una barista 25enne, era stata una delle prime a saperlo, nonostante conoscessimo i Bounderby a malapena.
Quando parlava di queste cose mio papà la rimbeccava sempre. Diceva che doveva farsi gli affaracci suoi e pensare a crescere i figli, piuttosto di stare a spettegolare con quelle quattro oche che chiamava amiche.

Intanto mia mamma mi aveva portato in una sorta di centro estetico, anche se me l’ero sempre immaginata in modo diverso. Mi prese in cura un signore alto sulla quarantina, molto elegante,vestito in giacca e cravatta, anche se con pochi capelli, aveva con se una bellissima rosa rossa riposta nel taschino. Mi guardò e mi disse: ”Non ti preoccupare, ti faremo meravigliosa! Tutti ti guarderanno!”, dopo molte ore , non saprei dire quante, e di sofferenza (Mia mamma diceva che per essere belle un minimo bisogna soffrire!), mi guardai allo specchio: Era forse la prima volta che mi guardavo e non mi sentivo brutta. Lo ringraziai di tutto cuore, ma lui si limitò a fissarmi, con lo sguardo rivolto nel vuoto, senza proferir parola.
Mia madre mi riprese e mi portò a casa. Si era già fatta sera. Anche se gli altri mangiarono, io non ne avevo voglia, mi sentivo stanca e appesantita. Per fortuna papà non venne in camera mia, come faceva di solito.

Negl’ultimi tempi, ogni qual volta non avessi fame, entrava in camera urlando:”VAI A MANGIARE! ALTRIMENTI TE LE SUONO!” e io spesso non avevo fame. Volevo solo stare distesa sul letto ad ascoltare la musica. Era l’unica cosa che volevo ascoltare.
Poi lui scendeva incazzatissimo le scale e urlava contro mia mamma:”
NON STAI EDUCANDO NOSTRA FIGLIA STUPIDA PUTTANA! NON MANGIA MAI UN CAZZO!” lei si metteva a piangere e si rannicchiava in un angolo, perché le provava davvero tutte con me, ma io non avevo mai fame. Sempre nell’ultimo periodo, sentivo suoni secchi, schioccate e pianti provenire dal piano di sotto. Le tirava ceffoni e pugni.
E ancora...
E ancora...
Non smetteva, finché io non scendevo a mangiare. Era una specie di ricatto. Solo che la vera vittima non ero io.
Ogni boccone mi sembrava di aver ingerito un cucchiaio di veleno, che serpeggiava dentro i miei organi, un macigno che si ingrossava sempre di più, intrappolandomi per terra. Non mi permetteva di volare via. Come un albatro abbattuto. Mi dava una terribile sensazione. Infatti dopo tre forchettate sentivo già la nausea e in quel momento alzavo il capo e vedevo mio fratello fissarmi. Una copia di mio padre, solo più piccola, non ancora formatasi del tutto, che mi fissava con lo stesso sguardo glaciale. Mi faceva paura e perciò continuavo, boccone dopo boccone, mentre mia madre piangeva in un angolino, con le lacrime che le rigavano il volto
Ma l’ultima volta, però non andò così. L’ultima volta mio padre si arrabbiò molto con me. Era una settimana che non mangiavo e mi sentivo veramente bene, così leggera. Volevo che non se ne andasse mai questa sensazione. Entrò sbattendo la porta violentemente e mi prese per la collottola “
MI HAI ROTTO I COGLIONI! ORA MANGERAI ! E NON ME NE FREGA UN CAZZO!
Mangiai.

Il giorno dopo ero veramente felice, era veramente una grande festa, anche se molto silenziosa. C’erano tutti: I nonni, tutti i miei zii, i miei amici, persino quelli che non si facevano vedere da molto tempo, come quelli delle elementari. C’era persino Giacomo, Il mio fidanzatino al tempo della scuola materna, che mi fissava da dietro un albero.
Il prete disse poche parole, ma molto coincise:”Quest’oggi celebriamo la vita e non la morte”
Mentre il mio corpo riabbracciava la terra ed i vermi che lo avevano creato.

Quello che avevo mangiato, non riusciva a rimanermi in pancia. Rientrai in camera a fatica e cercai di prendere sonno. Non ci riuscii. Avevo la nausea.
Sentii un conato e corsi in bagno. Vomitai tutto.
Mentre vomitavo qualcosa si mosse verso di me e mi afferrò.
Era Luca che mi guardò con quegli occhi gelidi, spalacati ed iniettati di sangue. Avevo paura. Mi sussurrò all’orecchio:”Perché non mangi? Papà dice che devi mangiare…”
“Luca… io…” balbettai qualcosa, ma le parole mi morirono in gola.

Mi colpì una volta.
Poi un’altra ancora.
e ancora…
e ancora…
“Papà” pensai.

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Pixabay


Cos



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Una storia struggente, ma che fa riflettere...tante bimbe/bimbi si trovano nella stessa situazione...tanti non-genitori che educano all'odio e alla violenza...
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