The Little Drummer Girl: piccolo gioiello targato Park Chan Wook

The Little Drummer Girl è una miniserie tv in 6 episodi andata in onda sulla BBC One nell'autunno del 2018 e che si propone come adattamento di un romanzo di John Le Carrè.
La serie, passata molto in sordina sui palinsesti tv, vanta un cast stellare ma soprattutto una regia che definire sopraffina è quasi sminuente.
Dietro la macchina da presa di tutti e 6 gli episodi c'è il regista coreano Park Chan Wook, autore della trilogia della vendetta di cui tutti abbiamo sicuramente visto almeno "Old Boy".
Un nome poco noto al pubblico occidentale ma che da anni viene considerato come uno dei migliori cineasti su piazza.
Se volete una dimostrazione di queste affermazioni allora questa serie può darvi la prova inconfutabile che Park Chan Wook è un fuoriclasse.
La serie è bella, tesa, affascinante ma il plus lo da la regia. E' uno di quei prodotti che vale la pena di guardare anche solo per vedere all'opera un campione del cinema alle prese con una serie tv.
Movimenti di macchina fantastici che spesso sono repentinii e passano da piani lunghi, lunghissimi a primi piani. La macchina da presa corre dietro i suoi personaggi, li definisce per immagini, crea l'azione. Park Chan Wook è un maestro nel soffermarsi sui dettagli, non è insolito che siano gli occhi o le mani a parlare nelle singole scene. Il regista fa quello che un regista dovrebbe fare, conferire alle singole immagini, alle singole sequenze un significato che sia per immagini e non solo per parole o contesti.
Insomma, la serie vale il prezzo del biglietto gia solo e soltanto per quello che la regia sa offrire.

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Spy Story e molto più

Di Park Chan Wook abbiamo parlato. Al suo fianco un gruppo di attori formidabili di cui parleremo dopo. E la storia?
La storia è seducente e nasce dalla mente di quel genio di Le Carrè che ultimamente sta diventando un serbatoio inesauribile per la serialità contemporanea.
L'ambientazione è quella dell'Europa e del Medio Oriente nel periodo immediatamente precedente agli ann'80. Il mondo è in preda alla guerra fredda ma in questo contesto geopolitico inizia ad esacerbarsi la situazione mediorientale. Le olimpiadi di Monaco, più volte menzionate nella serie, avevano creato un solco fra l'empatia verso gli israeliani e quella verso i palestinesi a causa della strage al villaggio olimpico.
Per l'opinione pubblica la questione palestinese era secondaria nel senso che è forse proprio in quegli anni che si è creato il mito di un popolo non soggiogato ma inopinatamente violento e votato al terrorismo. Gli israeliani iniziarono a recitare la parte delle vittime riscuotendo sempre maggiori favori nell'ambito dell'intelligence internazionale e facendo proliferare il tanto noto Mossad.
Si parte dunque da un attentato dei palestinesi ma in terra straniera, a Bonn per l'esattezza, in una capitale della Germania Ovest sempre più dilaniata ed ambigua.
Si parte da queste premesse per addentrarsi in una classica spy story fatta di intrighi, luoghi bui, uomini fedeli alla causa, cinismo dove il fine giustifica i mezzi, purchè si guardi dal proprio punto di vista.
Entra in scena la magistrale regia di Park Chan Wook e la sottile interpretazione di personaggi cesellati perfettamente nelle loro imperfezioni e nella loro drammaticità.
La serie viaggia dunque sul filo della drammaticità e dell'azione ma riesce a scorrere rapidissima grazie alla leggerezza di fondo che viene regalata a storie e protagonisti con tanti dialoghi acuti e spesso votati all'ironia e al sarcasmo.

Cast eccellente

Se la regia è il fiore all'occhiello della serie non è da meno il reparto attoriale.
In particolare spiccano 3 interpretazioni di grido.
Su tutti erge Michael Shannon che con il suo Marty riesce a penetrare lo schermo grazie soprattutto alla sua impenetrabilità. A capo della task force israeliana si presenterà come uomo saggio, vissuto ed esperto ma in preda a mille dilemmi e dubbi che non lascia mai trasparire agli occhi degli altri. Michael Shannon è un grande attore, uno con la A maiuscola che troppo spesso viene non considerato tra i grandi. Qui da l'ennesima dimostrazione di talento istrionico caratterizzato sempre da una nota di surrealismo e di humour sottile.

Skaarsgard, fresco vincitore dell'Emmy per Big Little Lies qui interpreta Gabi, uomo d'azione ma di grande intelletto che sfrutta la sua empatia distruttrice e manipolatrice per assolvere alla causa la giovane Charlie, attrice britannica chiamata ad entrare nell'operazione per la prova della vita.

La realtà è il teatro, Charlie e Gabi gli attori. Skaargaard non è uno di quegli attori che mostrano e dimostrano il proprio talento con microespressioni, facce buffe o drammoni ma con una faccia spesso monoespressiva ed una corporalità importante, un pò alla Ryan Gosling. Quello che fa lo fa bene, anzi benissimo e per questa parte sembra perfetto.
La vera rivelazione è la giovanissima Florence Pugh qui chiamata ad interpretare la protagonista Charlie.
Inizialmente fatichiamo a capirla, ad innamorarci del suo personaggio ma puntata dopo puntata riesce a rubare la scena e a diventare l'unico e vero motore dell'azione. La Pugh si rivela fantastica nel donare tormento vero e passionalità ad un personaggio difficile da interpretare, difficile da inquadrare. Un'attrice chiamata a recitare nel teatro della vita per una missione in cui non crede, non può credere ma che la travolge e la annichilisce oltre che forgiarla.
Il finale è criptico ed esistenziale, un suggello ad una grande serie che forse passerà inosservata ma che può e deve essere una pietra nella collezione degli appassionati di tutto il mondo.



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